S. Stefano

S. Stefano (Parrocchia, Campo, Campiello). Gli eremiti agostiniani, che fino dal 1264, ovvero 1274, avevano comperato alcune case nella parrocchia di S. Angelo, fabbricarono colà un convento, ed una chiesa dedicati a S. Stefano protomartire, della quale nel 1294 si pose la prima pietra. Dopo ciò cessero la chiesa ed il convento di S. Anna di Castello, ove prima abitavano, alle monache benedettine. La chiesa di S. Stefano, di architettura tedesca, ebbe termine nel 1325, e, dopo la sua prima consecrazione, dovette essere riconciliata sei volte per ferimenti in essa commessi. La prima volta fu nel giorno di Pentecoste dell’anno 1348, avendovi Girolamo Bonifazio ferito il N. U. Marco Basadonna; la seconda il 24 maggio 1556; la terza il 15 aprile 1561; la quarta il 17 luglio 1567; la quinta il 17 maggio 1583; la sesta, finalmente, il 26 novembre 1594. Ebbe un ristauro nel 1743.

La parrocchia si fondò nel 1810 colle soppresse parrocchie di S. Vitale, S. Samuele, S. Maurizio, e con parte di quella, pur soppressa, di S. Michele Arcangelo (S. Angelo).

Secondo la cronaca del Savina, avendo una saetta, la sera del 7 agosto 1585, abbruciato la cella del campanile di S. Stefano, che cadde, recando gran danno, sopra le case dei Malatini, oltre il rivo, si liquefecero tutte le campane, compresa quella dell’orologio, e la Signoria concesse ai frati, col patto però di avere il bronzo liquefatto, ed il soprappiù del prezzo, altre 4 campane, le quali erano per fondersi in Arsenale, e provenivano dall’Inghilterra, ove la regina Elisabetta aveva fatto abbattere le chiese ed i campanili cattolici. Quanto all’orologio, esso venne acconcio di nuovo a spese degli avvocati della città di Ven.a li quali stanno per lo più in quelle contrade per essere vicini al palazzo, et erano privi d’una grande comodità non vedendo le hore, et fu mandato a farlo fare a Seravalle.

Il convento di S. Stefano, dopo un altro incendio, successo nel 1530, venne ristaurato nel 1532 sopra disegno del frate Gabriele da Venezia. Attualmente è sede del Comando del Presidio e Fortezza, e degli uffizii del Genio Militare. Il chiostro, o cortile, di esso, che serve di pubblico transito, e sulle cui pareti si scorgono ancora alcune traccie degli affreschi operati dal Pordenone, sempre, come è fama, coll’armi a fianco per paura del rivale Tiziano, è celebre per memorie antiche e recenti. Imperciocché anticamente varii distinti uomini vi furono sepolti, fra cui Francesco Novello da Carrara, ultimo signore di Padova, fatto strozzare in carcere dalla Repubblica, co’ suoi due figli Jacopo e Francesco III, nel 1406. Ove fu sepolto era scritto, secondo il Curti: Sepultura strenui Viri ser Francisci Novelli et Heredum S. Né mancava la credenza che il sepolcro del Novello fosse quello sopra cui scorgevasi la sigla |TP| spiegata colle parole: pro norma tyrannorum. Il Cicogna però vi scoprì invece la sigla commerciale del mercadante Paolo Tinti. Quantunque poi riferiscano alcune cronache che Marsilio da Carrara, altro figlio di Francesco Novello, giustiziato pur esso, per ordine della Repubblica, il 23 marzo 1435, sia stato sepolto alla Giudecca nella chiesa dei SS. Biagio e Cataldo, apparirebbe che ciò avvenisse veramente in S. Stefano, avendo letto il Curti nel giornale della sacrestia dell’anno 1435 le seguenti annotazioni: 24 marti etc. Pro uno sepulto in claustro supras. Pro Dno. Marsilio de Carraria nihil ― 27 ejusd. etc. Pro parte nostra de zona vendita Marsilii de Carraria etc. Et 6 aprilis. Pro parte nostra de vestimento vendito Marsilii de Carraria.

Nel chiostro di S. Stefano fu pure sepolto lo scultore Tullio Lombardo. Così egli si espresse nel suo testamento, fatto il 14 novembre 1532, in atti Angelo Canal: El mio corpo vogio sia sepulto in linclaustro de s. Stefano in una mia archa che ho in casa fatta, qual archa sia messa alto o basso. Et lasso a detti frati per tal mio deposito diese duchati, sì che non me abbia a tuor più denaro de diese duchati. Ricorda il Curti che la sepoltura del Lombardo portava la data del 17 novembre 1532.

Nel chiostro medesimo, in epoca moderna, ebbe stanza da studio l’altro scultore Antonio Canova ancor giovanetto, anzi resta memoria che qui, di 18 anni, scolpì in pietra tenera l’Orfeo.

Altrove abbiamo parlato del rialto, un tempo cimitero, che sorge quasi di faccia la chiesa di S. Stefano, ove dicesi aver menato vita penitente Paolo da Campo di Catania, fiero corsaro. Vedi Nuovo (Campiello).

Venendo al Campo S. Stefano, non possiamo tacere d’una solenne predica fattavi da un frate in senso della riforma, poiché leggesi nel Sanudo, sotto la data 25 febbraio 1520 M. V.: Et sul campo S. Stefano fo predicato per m. Andrea da Ferrara, qual ha gran concorso. Era il campo pien, e lui stava sul pozuolo della casa del Pontremolo, scrivan all’oficio dei dieci uffizii. El disse mal del papa et della corte Romana. Questo seguita la dottrina de fra Martin Luther, è in Alemagna homo doctissimo, qual seguita S. Paolo, et è contrario al papa molto, il quale è stà per il papa scomunicato. La casa del Pontremolo, o Bontremolo, situata in Campo S. Stefano, al N. A. 2953-2956, era ricca un tempo di molte memorie. Sulla facciata, a destra del poggiuolo, leggevasi: Dicunt Susannam L. M. K. Martii, ed a sinistra: Perche’ Percio’ MDXIII. Sopra la porta: Ome Agens Agit Propter Finem. Nell’interno ti colpiva gli occhi lo stemma Bontremolo, circondato dalle parole: Petrus Bontr. MDXV X Julii Diu Felix. Lo stemma medesimo si ripeteva sotto un balcone in mezzo alle due lettere P. B. Il pozzo della corte, unitamente agli stemmi Bontremolo e Molin, presentava l’iscrizione Petrus Bontremolus MDXV X Julii Coniug. Marpexie Moline. Finalmente sulle scale eravi un’immagine della Beata Vergine, sotto cui: Petrus Bontremolus MDXXVI. F. Pietro Bontremolo, uscito da famiglia cittadinesca, venuta dalla Romagna, la quale fino dal 1211 lasciò ricordo di sé sopra un sepolcro nella chiesa di S. Maria della Misericordia, e fino dal 1236 apparteneva alla nostra cittadinanza, copriva la carica di Scrivan all’Uffizio dei X Uffizii. Quantunque avesse sposato Adriana Negro, sposò in seguito suor Marpessia, figlia di Timoteo q. Tommaso Molin, tratta dal monastero di S. Giovanni di Torcello, allegando che il suo primo matrimonio era stato dichiarato nullo dalla curia patriarcale per affinità. Perciò subì un processo, e nel 1513, come narra il Sanudo, venne anche posto in prigione, ma ben presto ne uscì, essendo stato ritenuto valido il di lui secondo legame, colla condanna però di pagare 200 ducati alla Negro. Da Marpessia Molin ebbe i figliuoli Giulia, Molina, che fu sposa di Marcantonio Dolfin, e Bontremola, che accasossi con Benedetto Boldù. Del resto, alcune delle iscrizioni di casa Bontremolo, come quella: Dicunt Susannam, oppure quella: Perche’ Percio‘, o sono capricciose, o si riferiscono a fatti noti soltanto a chi le fece scolpire. Imperciocché non crediamo d’abbracciare l’opinione del Cicogna, il quale sospetta che quel Dicunt Susannam abbia qualche relazione colla prossima chiesa dei SS. Rocco e Margherita, fabbricata ove sorgeva anticamente un oratorio sacro a S. Susanna. Attualmente delle riportate antichità resta soltanto il pozzo cogli stemmi, e coll’iscrizione, nonché l’immagine della Beata Vergine, però della sua iscrizione mancante. Fu nei passati ristauri che varie delle lapidi si trasportarono altrove, e lasciò scritto il Cicogna d’aver veduto nel 1852 quella del Diu Felix collo stemma Bontremolo nel giardino Volpi a S. Barnaba.

Tra le giostre fatte in Campo S. Stefano va ricordata quella in cui oprò belle prove di valore l’infelice Antonio Castrioto, duca di Ferrandina, il 17 febbraio 1548 M. V., la domenica stessa nella quale venne ucciso in una festa da ballo a Murano. Lasciamo le parole al cronista Agostino: Nel detto millesimo (1548) ai 17 febbraro, in giorno di Domenica, si fece una bella e superbissima festa sopra il Campo di S. Stefano di giostre e bagordi, e furono ms. Alvise Pisani, vescovo di Padova, l’abate Bibiena Fiorentino, et il duca di Ferrandina, figliuolo che fu del marchese della Tripalda, il quale è disceso per linea retta dal signor Giorgio di Scanderbech, et era valoroso cavaliero nel giostrare, et era amico e capitano dell’imperatore Carlo V, il quale, finita la festa sopra il Campo di S. Stefano, nella quale fece cose meravigliose e degne d’ogni illustre cavaliere, sì nel giostrare, come negli ornamenti di maschere, con trar ovi pieni di acqua rosata e moscata alle finestre, dove vi era concorso un grandissimo numero di gentildonne per vedere questi torneamenti, andò la sera medesima a Murano con il vescovo di Padova, ch’era de ca’ Veniero Sanguinè (Marco conte di Sanguinetto) dove si faceva una bellissima festa, e per causa d’havere invitato una gentildonna, nominata Modesta Veniero (Modesta Michiel, moglie di Daniele Veniero) venne a romore, sendo egli mascherato, con ms. Marco Giustinian e ms. Zorzi Contarini, e non conosciuto da questi zentilomeni, di maniera che si venne alle armi, e l’infelice duca fu ferito dal Giustiniano sopra la testa, e cadette in terra, e così mezzo morto messe mano ad uno stocco, e per mala ventura ferì nella gamba ms. Fantino Diedo, suo carissimo amico, a non pensando, per metterse di mezzo. Il duca di Ferrandina visse un giorno et hore 20 ché passò di questa vita, e fu sepolto in sagrestia delli padri di San Pietro Martire di Murano, et il Diedo da poi alquanti giorni morì ancor lui, sendogli entrato lo spasimo nella gamba.

Né sole giostre propriamente dette, ma altre feste celebravansi in Campo S. Stefano. Ricorda il Sanudo al mese di febbraio 1520 M.V.: Facendosi una festa sul Campo di S. Stefano di corer l’anello, fo la domenega di carnoval, uno corendo a cavallo il trasportò, et dete in s. Pietro Mocenigo di s. Lunardo, e li ruppe la testa. Ed il codice 184, Classe VII della Marciana, racconta al mese di gennaio 1599 M. V.: Fernando Cosazza, q. Ferrante, mentre si attrovava mascherato sul Campo di S. Stefano, fu dal conte Mattio Collalto ucciso.

Circa al così detto Listone di S. Stefano, diremo che ebbe tal nome questo pubblico passeggio perché facevasi sopra una lista di lastricato, posta nel mezzo del campo, ancora nell’altre parti ricoperto dall’erba. Abbiamo una stampa incisa in rame da Giacomo Franco, nato in Venezia nel 1550, e morto nel 1620, sotto la quale leggonsi le seguenti parole: In questa guisa si veggono le maschere in Vinegia nel carnovale, d’ogni qualità di persone, le quali sogliono quasi tutte alle ore 23 ridursi in piazza di S. Stefano, e quivi passeggiando trattenersi fino a quasi due hore di notte. Giacomo Franco forma con privilegio. Il Listone, per godere del quale disponevansi alcuni ordini di sedili, aveasi trasportato negli ultimi tempi della Repubblica in Piazza di San Marco.

La caccia dei tori, poi, che si godette in Campo di San Stefano il 22 febbraio 1802, fu l’ultima per Venezia. Imperciocché essendo caduto durante la medesima, dalla parte del palazzo Morosini, il palco sopra cui stavano gli spettatori, ne seguirono danni non pochi, e le caccie dei tori vennero per sempre proibite fra noi.

Nel 1807 venne trasferito in Campo S. Stefano il settimanale mercato, che ogni sabato soleva tenersi in Piazza S. Marco. In tale occasione si demolirono due botteghe di legno, l’una inserviente a ricevitoria del lotto, e l’altra ad uso di caffè. Il mercato durò in questa situazione fino a tutto febbraio 1809, epoca in cui trasportossi in Campo S. Polo.

In Campo S. Stefano fu nel 1882 innalzato un monumento a Niccolò Tommaseo, esimio letterato e patriota.

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