S. Pantaleone

S. Pantaleone (Parrocchia, Ponte, Rio, Campo, Salizzada). S’ignora quando veramente sia stata fondata la chiesa di S. Pantaleone. Si sa soltanto che nel 1009, sotto il doge Ottone Orseolo, essa venne riedificata dalla famiglia Giordani. Rinnovossi nel 1222 dal pievano Semitecolo, e consecrossi nel 1305 da Ramperto Polo, vescovo di Castello, coll’intervento di due arcivescovi, e di altri vescovi. Minacciando però di cadere, fu d’uopo atterrarla nel 1668, e rialzarla in più consistente struttura sul modello di Francesco Comino. Compiuta nel 1686, ricevette nuovamente consecrazione nel 1745 per mano d’Alvise Foscari patriarca di Venezia.

Questa chiesa fu parrocchiale, a quanto sembra, fino dal suo nascere, ed aveva un esteso cicondario, che le fu notabilmente scemato nel 1810 per formare le parrocchie dei Frati, e di S. Maria del Carmine, e per ampliare quella di San Nicolò dei Tolentini.

Varii sono i pareri circa l’origine del nome di pantaloni attribuito ai Veneziani. Alcuni vorrebbero che essi fossero così detti pei molti individui che da principio portavano il nome di Pantaleone. Altri per corruzione di pianta leoni, solendo i nostri piantare il leone, loro insegna, sopra le città, e terre conquistate. Altri ancora dal pantalon maschera caratteristica veneziana. Aggiungono questi ultimi, che, rappresentando la maschera suddetta un mercadante onesto, ma bonario, e quindi soggetto talvolta agli inganni, si volse coll’andar del tempo il nome di pantalon a titolo di scherno. Perciò leggesi in una cronaca manoscritta che, all’epoca della Congiura degli Spagnuoli, nel 1618, i promotori di essa andavansi vantando di potere con trecento uomini prendere d’assalto la Piazza di San Marco, e mettere in fuga tutti questi pantaloni di Veneziani. Perciò la nostra plebe dà del pantalon per ingiuria, ed è tuttora vivo il detto: paga pantalon.

A piedi dell’antico portico della chiesa di San Pantaleone, ora distrutto, sulla cantonata, fra la chiesa medesima, ed il palazzo Signolo, che, per testimonio del cronista Magno, nel 1549 stava in mano dei Loredan, e tuttora s’appella da questa famiglia, scorgevasi innestata nel selciato la celebre pietra del forte Mongioja in S. Giovanni d’Acri, o Tolemaide, portata a Venezia da Lorenzo Tiepolo. Narrasi che, essendo questo generale nel 1256 mandato contro i Genovesi che avevano posto a sacco il quartiere dei Veneziani in Tolemaide e parendo egli poco atto all’intrapresa, anzi, secondo il Magno, uomo indormenzado, uno di ca’ Signolo gli disse per ischerzo, prima che partisse, le seguenti parole, riportate dallo Scivos: Se tu scaccerai Genovesi da Acri, portami una pietra di quelle fondamente! Altri narrano che furono i di lui parenti a beffarlo in tal guisa, e ben poteva la famiglia Signolo patrizia essere a’ quei tempi unita col Tiepolo in parentela. Ritornato adunque in patria Lorenzo, dopo aver vinti i Genovesi, e distrutto il forte Mongioja, ne portò seco una pietra, e la fece porre, come abbiamo detto, fra il palazzo Signolo, ed il portico della chiesa, sulla cantonà, acciocché, scrive Daniel Barbaro, colui che haveva la sua casa là per mezzo non andasse mai in chiesa che non la vedesse, et gli sapasse sopra. Il Magno e lo Scivos dicono che il Tiepolo vi fece scolpir sopra il tondo d’una bombarda, ed altri la figura della sua nave ammiraglia. Questa pietra esisteva nel sito in cui fu posta anche alla metà del secolo XVI, ma dalle parole del Sansovino nella Venezia, sembra che ciò non s’avverasse più sulla fine del secolo medesimo. Crediamo poi del tutto erronea la tradizione popolare, la quale vorrebbe riconoscere la pietra suddetta in un macigno rotto in due, visibile oggidì presso la gradinata della chiesa di San Pantaleone, che non ha alcun indizio di scultura operatavi sopra, e che è tanto consimile agli altri macigni circostanti da poter appena essere distinto.

In parrocchia di San Pantaleone, come ricorda il Salsi nei suoi Cenni storico-critici sopra i pievani di quella chiesa, possedette un palazzo nel secolo XV il famoso Giorgio Castrioto, detto Scanderbeg. Questo palazzo, che poscia fu dei Molin, e che sorgeva presso la Salizzata di San Pantaleone, al Ramo Molin, apparteneva, prima dello Scanderbeg, alla famiglia Bertaldi, ed in esso abitò Jacopo Bertaldi pievano di San Pantaleone, ed eletto nel 1314 vescovo di Veglia, che fu il primo a dar luce e forma allo statuto veneto col lavoro, tuttora manoscritto, intitolato: Splendor Consuetudinum Venetae Civitatis (Classe V, Cod. 122 della Marciana).

In parrocchia di S. Pantaleone morì il 21 luglio 1565 il pittore Polidoro Veneziano, discepolo di Tiziano.

In parrocchia di S. Pantaleone abitava nel 1572 Danese Cattaneo da Carrara, scultore ed architetto, degno discepolo e seguace del Sansovino.

Nella medesima parrocchia abitava, e venne a morte la celebre letterata Lugrezia Marinella. Vedi Squellini (Campiello dei).

Vi chiuse finalmente i suoi giorni il 3 maggio 1743 improvvisamente Giovanni Caraffa napoletano, generale degli eserciti dell’imperatore Carlo VI. Lasciò erede un suo nipote di grande facoltà in danaro ed argenterie, che erano sepolte, come corse fama, in un luogo del regno di Napoli. Beneficò la chiesa di San Pantaleone, ove venne sepolto con epigrafe dettata dai fratelli Girolamo ed Anton Maria Zanetti, ma che passò sotto il nome di Domenico Benedetti, medico del defunto, ed incaricato di dettarla.

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