Caffettier

Caffettier (Corte del) a S. Marco (1). Eravi qui presso una caffetteria, ora ridotta a spaccio da vino, frequentata negli ultimi tempi della Repubblica da varii patrizii, i quali, reduci in gondola dal Maggior Consiglio, andavano, come suona la fama, a deporre la vesta d’uffizio, ed a reficiarsi in una camera sovrapposta. Fortissime erano le partite di giuoco che si facevano in questo Caffè, laonde il Ballerini, nelle sue Lettere manoscritte al Civico Museo, così si esprime: Il Caffè al Ponte dell’Anzolo è ridotto per metà casino privato, e colà si gioca tutta notte. Tenendosi nel Caffè medesimo una sera certa riunione di patrizii Barnaboti, malcontenti del governo, ed infetti da giacobinismo, presieduta dal famoso procuratore Pisani, presentossi d’un tratto colà Cristofolo dei Cristofoli, terribile fante dei Cai, e parlò al Pisani, che la notte andò a dormire alla Giudecca, e la mattina dietro era in viaggio pel castello di Verona.

Il Caffè al Ponte dell’Angelo va celebre eziandio per esservi morto nel 1792 il così detto Cane Tabacchino. Vedi l’opuscolo intitolato: Elogio del Cane Tabacchino morto al Caffè del Ponte dell’Angelo il dì 27 Aprile 1792. Opera di Onocefalo Cinoglosa (Vincenzo Formaleoni) adorna del ritratto dell’eroe. Venezia MDCCXCII. Il suddetto opuscolo è rarissimo, poiché, essendo una parodia dell’orazione funebre di Ubaldo Bregolini in morte di Angelo Emo, vennero, per ordine supremo, il 12 maggio 1792, confiscate quante copie se ne poterono rinvenire nella tipografia Zatta.

Si trova che il primo scrittore italiano che abbia nominato il caffè fu G. Francesco Morosini, bailo a Costantinopoli dal 1582 al 1585, e che il caffè vendevasi a Venezia nel 1638 a prezzo altissimo come pianta medicinale importata dall’Egitto. Trentotto anni più tardi, cioè nel 1676, il Senato incaricava i Savii alla Mercanzia di occuparsi della maggior rendita che si avesse potuto ritrarre, non per via d’appalto, ma in altra maniera, sulla abbondante vendita introdotta del caffè, giacci, et acque aggiacciate che sono inventate dall’allettamento del senso. Si ha memoria che nel 1683 si beveva il caffè in una sola bottega sotto le Procuratie Nuove. Ma ben presto siffatte botteghe, a merito specialmente dei Grigioni, si moltiplicarono in modo da dar il nome a varii sentieri della nostra città. Leggiamo nei Notatori del Gradenigo che Antonio Bresciani, caffettiere in Campo della Guerra, fu il primo nel 1720 ad ingrandire le tazze da caffè facendole pagare non più due soldi, ma cinque. Vi concorrevano in copia i gentiluomini, e vi furono invitati anche principi, come Federico Augusto elettore di Sassonia, poi re di Polonia, e Carlo elettore di Baviera. Nel 1723 Giuseppe Boduzzi aprì la bottega dell’Aurora sotto le Procuratie Nuove, ove i vasellami, i piatti e piattelli erano d’argento massiccio, e servivasi il caffè in bella porcellana.

Quantunque le nostre caffetterie fossero da principio basse, disadorne, malissimo illuminate, e perfino mancanti di vetri a schermo delle intemperie, riboccavano, specialmente quelle situate sul S. Marco, di gente e di maschere. Alcune di esse poi avevano certi camerini appartati, nei quali talvolta, oltre che al Dio del Giuoco, sacrificavasi a Volupia e Citerea, camerini, che a più riprese vennero proibiti dalla Repubblica.

Tra i nostri Caffè (che per legge 4 ottobre 1759 non dovevano sorpassare il numero di 206) andava celebre quello in Merceria di San Giuliano, che alquanti anni fa trovavasi riaperto alla insegna del Trovatore, il quale, per essere condotto da un Menico, uomo grande e grasso, chiamavasi di Menegazzo. In esso frequentavano il pungente Baretti, ed il suo avversario prete Biagio Schiavo da Este. In esso il patrizio Daniele Farsetti con varii allegri amici, dopo avere ascoltato nel 1745 fra le risa e le beffe i versi scipiti dell’altro prete Giuseppe Sacchellari, statuiva di fondare l’accademia dei Granelleschi, eleggendone a principe, col titolo di Arcigranellone, il Sacchellari medesimo (2). Oltre il Caffè di Menegazzo, avevano pure una parte di rinomanza i due Caffè non lontani d’Ancillotto e dei Secretarii, il primo per essere stato anch’esso frequentato dal Baretti, ed il secondo, tuttora aperto, come ritrovo dei celebri secretarii Milledonne, Gratarol e Gabriel, ultimo Cancellier Grande. Aggiungi il Caffè delle Rive in Campo S. Moisè, ora occupato dalla ditta Tropeani, ed il Caffè Florian, aperto fino dal 1720 coll’insegna della Venezia Trionfante, ove concorreva, anche per lo passato, quanto aveavi di più eletto fra nostrali ed estranei. Né vuolsi tralasciare, per ultimo, il Caffè che chiamavasi del Gobbo, ora Caffè Dante, posto in Calle dei Fuseri, nel quale si raccoglieva all’epoca democratica un drappello di colte persone, scherzando sulla falopa, o bugia, del promesso tempo felice, onde ne sorse, a merito dell’abate Giuseppe Comici, il Faloppiano collegio, esistente ancora in Calle Bembo a S. Salvatore (3).

Note di Lino Moretti

  1. Nel 1889 a questa corte fu dato il nome di corte dell’ Angelo (ora Ramo calle).
  2. Il lepido motto dell’Accademia era: Testes flures sunt quam homines.
  3. Il Collegio ha lasciato una testimonianza nel Saggio di poesie serie e bernesche della Società Falloppiana, Venezia 1824. Il collegio, estinto alla fine dell’Ottocento, risorse per breve tempo nel 1921 ad opera del dr. P.L. Mozzetti Monterumici nel Caffè della Vittoria in Calle Larga S. Marco, Questo caffè, aperto nel 1720 e detto dei speccetti, cambiò nome nel 1797 quando il proprietario Giovanni Francesconi volle celebrare le recenti vittorie del Bonaparte e ricordare la propria figlia Vittoria. Durante la prima guerra mondiale fu luogo d’incontro di giovani interventisti e di combattenti, tra i quali Nazario Sauro. Diciotto di loro non tornarono e li ricordava una targa di bronzo. Il caffè è stato chiuso il 31 ottobre 1968.

    Il Caffè dei Segretari (Calle dei Specchieri, N.A. 475) e il Caffè Dante (Calle dei Fuseri, N.A. 4269) furono chiusi nel 1913. Il Caffè dell’Aurora era sotto le Procuratie Nuove ai N.A. 47-50, quello della Nove era in Calle larga S.Marco al N.A. 659.

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