S. Luca

S. Luca (Campo, Ramo va in Campo, Salizzada, Rio). La chiesa di S. Luca si reputa innalzata nel XI secolo dalle famiglie Dandolo e Pizzamano, e tosto dichiarata parrocchiale. Nel 1442 ampliossi da Fantino Dandolo, che cesse a tale scopo alcune sue case vicine. Minacciando rovina, fu rifabbricata nel secolo XVI, e decorata nel 1581 della cappella maggiore. Nel 1827 ebbe improvvisamente crollato parte del prospetto, ma nel 1832, tanto all’esterno quanto all’interno, venne ristabilita. Anche nel 1881 subì altro interno ristauro.

La parrocchia allargossi nel 1810 con quella di San Benedetto, e con parte di quella di S. Paterniano, ambo soppresse, nonché con alcune frazioni d’altre vicine parrocchie conservate. Perdette però in quell’incontro qualche brano assegnato a San Salvatore.

In Campo San Luca sorge un piedestallo marmoreo, il quale sosteneva un’antenna, donde ne’ giorni festivi svolazzava uno stendardo. Ciò indicherebbe, secondo il Sansovino, che qui è il mezzo, o l’umbilico, della città. Ma un altro accreditato cronista, e l’imprese delle Scuole della Carità e dei Pittori, scolpite sul piedestallo coll’anno MCCCX, insegnano invece essere questo un segnale della sconfitta che appunto la Scuola della Carità e quella dei Pittori fecero subire il 15 giugno 1310 in Campo di S. Luca ad una parte dei congiurati di Bajamonte Tiepolo.

In parrocchia di San Luca, e precisamente sulla Riva del Carbon, abitò e venne a morte Pietro Aretino il 21 ottobre 1556. Vedi Carbon (Riva ecc. del). Egli, come appare da fede del pievano d’allora Pietro Demetrio, recentemente pubblicata, venne sepolto in un sepolcro novo vicino alli gradi della Sacrestia, sepolcro ora distrutto.

Vi morì pure Girolamo Ruscelli, autore del noto Rimario, e d’altre opere: 1566, Die 10 Maij. M. Jer.mo Ruscelli da Viterbo d’anni 48, amalà mesi 9 da dropisia et febre ― S. Luca.

E’ fama inoltre che a San Luca mancasse ai vivi nel 1582 il celebre pittore Andrea Schiavone, e senza dubbio vi chiusero la loro mortale carriera nel 1585 Luigi Groto, detto il Cieco d’Adria, e nel 1588 Bernardino Partenio da Spilimbergo, pubblico lettore di greco, il quale venne sepolto nel chiostro di S. Stefano.

Vi avevano domicilio il medico Giuseppe degli Aromatari, che nel 1611 stampò il libro intitolato: Risposta di Gioseffo degli Aromatari alle considerazioni d’Alessandro Tassoni sopra le rime del Petrarca; ed il pittore bavarese Gian Carlo Loth. Ciò si ricava dal testamento che fece quest’ultimo il 26 agosto 1698, in atti del notaio veneto Francesco Simbeni, ove si chiama G. Carlo Loth q. Ulderico da Monaco, e dice di testare in parrocchia di San Luca, nella casa di sua abitazione posta sul Canal Grande. Potrebbe sospettarsi che questa abitazione fosse precisamente un piano del palazzo Loredan, ove molte opere del Loth conservavansi. Egli aggiunse al proprio testamento un codicillo il 28 settembre 1698, ed il 6 ottobre successivo era già morto, poiché in quel giorno si pubblicarono le di lui disposizioni testamentarie.

Si ha dai Registri dei Giustiziati che il 27 marzo 1721 venne decapitato e squartato Domenico Rossi da Palma, garzone nella farmacia della Vecchia in Campo San Luca, perché uccise Maria Alberti, meretrice, affine di rapirle quanto possedeva. Qual origine possa aver avuto l’antica insegna di tale farmacia, vedilo all’articolo Teatro (Calle e Ramo, Corte del) a San Luca. Era forse pell’esistenza di questa insegna che in Campo San Luca, più frequentemente che in altri campi della città, davasi, a mezza quaresima, lo spettacolo dell’abbruciamento della Vecchia. Varii fra noi devono ricordarsi di tale spettacolo, veduto nella loro fresca età. Raccolte spontanee offerte, e parato il campo di damaschi e bandiere, fabbricavasi un solaio, alto circa tre uomini da terra, sopra il quale ponevasi un fantoccio, rappresentante una vecchia con cuffia in testa, e larva sul viso, a cui due guardie rendevano ridicoli onori, mentre più o meno scordati istrumenti facevano echeggiare l’aria delle loro armonie. Frattanto avevano luogo altri spassi diversi, come quello di far volare per una corda qualche povero cane, legato ad un fuoco d’artificio; quello d’arrampicarsi sopra liscia ed unta antenna alla conquista di qualche salame, o fiasco di vino, attaccati alla cima; oppure quello di ghermire colla bocca un’anguilla, immersa in un mastello d’acqua tinta di nero, la quale ridicolosamente bruttava il volto dei campioni postisi al cimento. Alla fine accendevasi il fuoco sotto il solaio, ed, in mezzo alla comune allegria, ardeva, e cadeva in cenere il fantoccio. Più anticamente però la Vecchia non abbruciavasi, ma segavasi per mezzo, e ne uscivano fiori e confetti, che i monelli si contrastavano fra loro.

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