Petriana

Petriana (Corte) a S. Apollinare. Sopra l’ingresso di questa Corte, e sul pozzo nel mezzo della medesima, scorgesi scolpito un albero con una mezza luna al piede, stemma della cittadinesca famiglia Petriani. Il capostipite di tale famiglia in Venezia fu un Antonio, maestro di grammatica, figlio di Jacopo, dottore in medicina, il quale fu eletto cittadino veneziano con privilegio 7 maggio 1396, da cui si apprende che era venuto da Cassia, terra dell’Umbia, e che allora abitava in parrocchia di San Apollinare. Egli fece testamento il 17 settembre 1413 chiamandosi Antonius de Petriani rector scolarum, nunc civis et habitator Venetiarum in confinio S. Apollinaris, ed altrove Anthuonio de Petriani rector della scuola della contrada di S. Aponal. In questo testamento voleva che le sue do case in la contrada de S. Aponal passassero in proprietà de’ suoi fioli mastoli, zoè Zanino e Nicolò, e loro eredi, mancando i quali, si vendessero, e si facesse un bell’altare in chiesa dei frari minori, over dei frari predicatori. Disponeva che in una delle due case suddette potesse abitare la moglie Margarita. Divideva i suoi beni di Cassia fra Catterina sua sorella, e Giovanni figlio di suo fratello Matteo. Ordinava finalmente d’essere sepolto nell’arca che aveva comperato in chiesa di S. Apollinare a man dreta al intrar de la porta granda de la dita chiesia.

I discendenti d’Antonio Petriani (uno dei quali, per nome Benedetto, fu condannato per latrocinio nel 1495) continuavano nel 1566 a possedere stabili in contrà de S. Aponal in corte de cha Petriani, al traghetto di S. Benedetto. Nel secolo XVII questi erano però d’altri proprietarii.

In Corte Petriana eravi la tipografia di Nicolò Brenta, come appare da un’edizione, fatta nel secolo XV, di un trattato del frate Ugo Panziera, ove si legge: Impresso in Venetia per Nicolò Brenta da Verona al Traghetto de San Polo, in Corte Petriana. (senza anno).

In Corte Petriana, a S. Apollinare, Luigi Duodo e Marcantonio Correr eressero nel 1651 un piccolo teatro chiamato Nuovissimo. Esso inaugurossi coll’Oristeo, poesia di Giovanni Faustini, musica di Francesco Cavalli, e chiuse colle Fortune di Rodope e Damira, poesia di Aurelio Aurelii, musica di D. Pietro Andrea Ziani. Tutte le opere colà rappresentate non furono che nove soltanto.

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