Memmo o Loredan (Calle) a S. Luca. E’ laterale ad un antico palazzo, di stile bizantino-lombardo, che, per quanto si ritrova, apparteneva anticamente ai Boccasi, e che diede ricetto al doge Jacopo Contarini dopo la sua abdicazione, successa nel 1280. Dai Boccasi esso passò in mano dei Zane, che v’ospitarono nel 1361 la corte del duca d’Austria. Appartenne quindi alla famiglia Corner, un Federico della quale v’albergò splendidamente nel 1363 Pietro Lusignano re di Cipro. Grato il re, faceva scolpire sul prospetto le proprie insegne, ed in premio d’aver ottenuto a prestito da Federico Corner settantamila ducati, lo investiva d’un cavalierato ereditario, e del feudo di Castel Piscopia nel regno di Cipro. Questo palazzo, ove alloggiarono nel 1378 Valentina Visconti; nel 1389 Francesco Gonzaga, signore di Mantova; nel 1416 un fratello del re di Cipro, e nel 1440 la figlia del marchese di Monferrato fidanzata a Giovanni Lusignano II, venne ristaurato nel secolo XVII da G. Battista Corner, padre di quell’Elena, che fu miracolo di scienza a’ suoi giorni, e che, insignita di laurea dottorale, morì in Padova nel 1684. Lucrezia, nipote della medesima, congiuntasi nel 1703 in matrimonio con G. Battista Loredan, appigionò una parte del palazzo di S. Luca alla famiglia Memmo, la quale altri stabili possedeva nei contorni. Perciò Anzolo e fratelli Memmo notificarono nel 1740 d’abitare in parrocchia di S. Luca nel solèr di sopra del palazzo posseduto dalla N. D. Lucrezia Corner Piscopia consorte del N. U. G. Battista Loredan. Estintosi finalmente questo ramo dei Corner, il palazzo medesimo divenne proprietà dei Loredani, donde passò in altre famiglie, finché nel 1867 venne acquistato dalla Congregazione Municipale di Venezia, che, mediante cavalcavia, lo congiunse al palazzo Farsetti propria residenza, e nel 1881 vi praticò nuovi ristauri.
Venendo a parlare della famiglia Memmo, se la fa discendere dalla gente Memmia di Roma. Credesi che anticamente si chiamasse anche Monegaria e Tribuna, ed in tal caso avrebbe dato a Venezia quattro dogi. Produsse pure due vescovi, ed alcuni militari valenti, fra cui Girolamo, rettore a Schiatta nell’Arcipelago, tagliato a pezzi nel 1538 dagli Schiattesi perché non voleva arrendersi ai Turchi, ma poscia dai Turchi medesimi vendicato, i quali mandarono a fil di spada quegli isolani in pena d’aver ucciso il proprio duce. Un Bartolammeo Memmo fu appiccato il 14 luglio 1470 fra le colonne rosse del palazzo ducale per avere sparlato del doge Cristoforo Moro, e per aver proferito segnatamente queste parole conservateci dagli Annali del Malipiero: Vegnimo diese a consegio domenega che vien, et le corazzine sotto la veste, e amazemoli, comenzando da questo becco de Cristoforo Moro. E d’una Isabella Memmo così scrive nelle sue Memorie il mordace prete Carlo Zilli sotto il 14 ottobre 1780: Morì per una stasi alla testa la N. D. Isabella Memo Berlendis. La sua morte fece un gran colpo e per esser ella una delle prime bellezze della città, e per esser mancata quasi all’improvviso, poiché senza sacramenti, e senza che il suo male fosse conosciuto, e per le contese fra i due medici Perlasca e Fantuzzi, che furono alla cura, i quali con loro dispute in iscritto divertirono molto il paese. Il Perlasca arrivò a tale imprudenza sino a scrivere in sua giustificazione contro il Fantuzzi, che morì in forza del mercurio, dato in dose eccedente a questa Dama per qualche incomodo di galanteria che aveva. N’era tanto persuaso che non ebbe difficoltà di scrivere questo tanto al marito di lei Andrea Memo, attualmente Bailo a Costantinopoli. Corsero per la città varie composizioni poetiche su questa morte, e su tali circostanze. Fra le altre si lesse un epigramma, degno dell’età dell’oro della latinità, nel quale si fa ch’ella dai Campi Elisi scriva al D. Perlasca, rimproverandolo della sua crudeltà, avendo così pubblicamente infamata la sua memoria. Questo ramo dei Memmo oggidì è estinto.
Della famiglia Loredan parlammo altrove. Vedi Loredana (Corte e Calle).
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