S. Fosca

S. Fosca (Campo, Ponte, Rio, Salizzada, Calle). Vuolsi che la chiesa di S. Fosca sorgesse nell’873 per opera di Crasso Fazio, vescovo d’Olivolo, ma è più probabile che, da Sàbatra trasportato a Torcello nel secolo X il corpo di S. Fosca, si estendesse anche a Venezia il culto di questa Santa, e che le si fabbricasse l’anzidetta chiesa. Essa nel 1297 fu ristaurata e trecento ottantadue anni dopo, cioè nel 1679, rifabbricata. Nel 1733 decorossi di nuovo prospetto a merito di Filippo Donà, e consecrossi da Girolamo Fonda, vescovo Nonense. Finalmente nel 1741, a spese del medesimo Donà, se ne rifece il soffitto crollato a terra il 24 giugno di quello anno dopo l’ultima messa, al qual fatto allude l’iscrizione: Ad majorem Dei gloriam. MDCCXLI. Questa chiesa, che da parrocchiale divenne nel 1810 sussidiaria di quella dei SS. Ermagora e Fortunato (vulgo S. Marcuola), ebbe nel 1847 ristauri, ed abbellimenti novelli.

Ricordano i cronisti che il campanile della chiesa di Santa Fosca cadde il giorno di San Lorenzo del 1410 a cagione d’un turbine fierissimo, che arrecò danno a Venezia per sessanta mila ducati.

Nel 1535 fu posto a reggere, come pievano, la chiesa di Santa Fosca, Nicolò Liburnio, uomo letterato, ed autore della Spada di Dante, e d’altre opere. Egli morì nel 1557, e nella sua chiesa venne sepolto in un’arca, sopra il coperchio della quale scorgevasi intagliata in marmo la di lui immagine, che Pietro Gradenigo da S. Giustina, come disse ne’ suoi Notatorii, fece disegnare dal Grevembroch perché non se ne perdesse la memoria.

Era della chiesa di S. Fosca quel prete Agostino, che, solendo bestemmiare giocando, fu il 7 agosto 1542, secondo la cronaca del Barbo, posto in berlina fra le due colonne di San Marco da terza a nona, chiuso il giorno seguente nella cheba fino al termine di settembre, condannato poscia a compier l’anno nella Prigion Forte, e finalmente bandito in perpetuo. Riporta il Gallicciolli alcuni versi che in quest’occasione vennero stampati, e ch’egli trasse da una miscellanea posseduta dal Morelli, ove scorgevasi effigiata la cheba, o gabbia, quadrata, sporgente da una finestrella a metà del campanile di S. Marco. Del supplizio della cheba abbiamo altrove parlato. Qui aggiungeremo che malamente asserisce il Gallicciolli, sulla fede della cronaca Erizzo, che questo supplizio abbia terminato nel 1518, mentre, come si è veduto, era in uso ancora nel 1542. Forse dopo il 1518 non avrannosi più condannati i rei alla cheba in vita ma temporariamente soltanto.

Giù del Ponte di S. Fosca, il 5 ottobre 1607, sull’imbrunire, fu colto da cinque ignoti assassini, e gravemente ferito il celebre fra’ Paolo Sarpi. Essendo egli incorso nell’odio della corte Romana per difendere la Repubblica, della quale era teologo consultore, sospettossi che dal nunzio pontificio fossero stati pagati gli assassini. Almeno così mostrò di credere il Sarpi medesimo, se è vero che al chirurgo, il quale diceva di non aver medicato ancora più stravaganti ferite, rispondesse: Eppure il mondo vuole che sieno state date “stilo Romanae curiae!”. Il fatto del ferimento viene raccontato da fra Fulgenzio Micanzio, discepolo del Sarpi, colle seguenti parole: … 5 ottobre 1607, circa le 23 hore, ritornando il padre al suo convento da San Marco a Santa Fosca, nel calare del ponte verso la fondamenta, fu assalito da cinque assassini, parte facendo scorta, e parte l’esecuzione, e restò l’innocente padre ferito di tre stilettate, due nel collo et una nella faccia ch’entrava all’orecchia destra, et usciva per appunto a quella vallicella che è tra il naso e la destra guancia, non havendo potuto l’assassino cavar fuori lo stilo per haver passato l’osso, il quale restò piantato e molto storto… L’assassino hebbe prima comodità di colpire, e gli diede più di quindici colpi di stile, come fu veduto da alcune donne ch’erano alle finestre, e se ne vedevano i fori nel cappello, nel capuccio, e nel collaro del giuppone, ma tre soli lo ferirono… Il padre si contentò che quello stile fosse appeso a’ piedi di un crocefisso nella chiesa dei Servi… con l’inscritione: Dei Filio Liberatori.

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