S. Sofia

S. Sofia (Campo, Rio, Traghetto). Riporta il Gallicciolli, sulla autorità di cronache antiche, che fino dall’866 esisteva la chiesa di S. Sofia, edificata da un Giorgio Trilimpolo. Tuttavolta se ne attribuisce comunemente la fondazione alla famiglia Gussoni, unita ad un cotal Giorgio Tribuno nel 1020, ovvero 1025. Questa chiesa ebbe due rifabbriche, la prima nel 1225, la seconda nel 1568, nonché un radicale ristauro nel 1698. Nel 1810 fu chiusa, e nel 1836 rinnovata e riaperta a merito di G. Battista Rebellini ed altri divoti, sotto l’antico titolare di S. Sofia, ovvero la Divina Speranza, benché sostengano alcuni che in origine fosse sacra in quella vece a S. Sofia vergine e martire. All’epoca del suo riaprimento il Fontana pubblicò una Illustrazione storico-critica.

Un Antonio cultrarius, figlio del pievano di S. Sofia Pietro Negro, rese madre Catterina Bedotolo, abbadessa del convento di S. Giacomo di Paludo. Egli perciò, con sentenza 29 aprile 1422, venne condannato a due anni di carcere, donde fuggito il 27 giugno seguente, fu agli 8 di luglio bandito da tutto il dominio.

Dalle Raspe dell’Avogaria di Comun s’apprende pure che il suddetto Pietro Negro, pievano di S. Sofia, perdette il 20 decembre 1436 la carica di pubblico notaio perché, ad istanza di Francesco Rizzotto, pievano di S. Maria Nuova, rogò e pubblicò un testamento supposto, donde appariva che una Cristina de Sana aveva lasciato al Rizzotto tutte le sue facoltà.

Né maggior onore recò al clero di S. Sofia un’avventura di Vito Pugliese, prete della chiesa suddetta, accusato nel 1461 da una Lucia, moglie d’Agostino da Feltre lanaiuolo, d’averla voluta godere più volte a viva forza. Siccome però la cattivella aspettò che la tresca avesse durato quattro giorni prima di parlarne col marito e con un frate francescano, da cui venne consigliata di ricorrere alla curia patriarcale, così è lecito sospettare, come fece intravedere il reo, citato a scolparsi, che il consenso della donna non fosse mancato del tutto nel fatto, e che l’averle negata la chiesta mercede la spingesse, più che altro, a presentare l’accusa. Comunque siasi, pre’ Vito venne condannato, per sentenza 22 giugno 1461, al carcere in vita, la qual pena, un anno dopo, ad istanza del principe di Taranto, commutossi in bando perpetuo. Vedi alcuni Atti della Cancelleria Patriarcale, raccolti nel codice 74, classe IX della Marciana.

Il Campo di S. Sofia, verso il Canal Grande, è fiancheggiato da una parte da un palazzo Foscari, archiacuto, che ha lo stemma di questa famiglia sulla facciata, ove nel 1520 abitava l’ambasciatore di Mantova, e dall’altra dal palazzo pure archiacuto Morosini, che nel 1582 ospitò Roberto Strozzi. Tale palazzo fu nel principio del secolo XVIII comperato dai Sagredo, e dai suoi poggiuoli Leopoldo II imperatore, ed altri principi, ammirarono nel 1791 lo spettacolo della regata.

In Campo di S. Sofia, e precisamente in una delle case della cittadinesca famiglia Longin, lo stemma della quale, consistente in un albero, scorgevasi, prima delle recenti rifabbriche, sopra le muraglie, domiciliava un fabbro ferraio, abbastanza provveduto di mezzi di fortuna, che amoreggiava con una vedova, nativa di Mirano. Essendosi una volta costei recata a ritrovarlo, e vedendolo posto a letto, fece bollire al focolare, sotto pretesto di sentirsi dolori al ventre, una pentola d’olio. Quando poi vide il suo drudo addormentato gli diede d’un coltello nel petto, ed avendosi egli risentito, gli gettò addosso l’olio bollente, terminando d’ammazzarlo con un colpo di candeliere sul capo. Allora portò via la borsa e due sacchetti di monete dell’ucciso, ma non poté aprire la cassa ove stava racchiuso il più del denaro, per lo che, indispettita, fuggì dopo aver appiccato fuoco alla casa. Non si scoprì in quel momento la di lei reità, e fu solo, quando essa, per sospetto d’altro ladrocinio, volle allontanarsi da Venezia, che tutto venne alla luce del giorno, laonde, dopo aver pienamente confessato, fu condannata il 28 gennaio 1505 M. V. ad essere condotta sopra una chiatta pel Canal Grande a S. Croce, a smontare al Corpus Domini, ed irsene per terra a S. Sofia, ove le venisse recisa la destra; a continuare finalmente il viaggio fino a S. Marco fra le colonne, per colà assoggettarsi alla mannaia del carnefice. Il suo corpo fu abbruciato, e la sua testa fu appesa ad una forca nell’isola di S. Giorgio Maggiore.

Presso la chiesa di S. Sofia, all’imboccare della Calle Sporca o Priuli, eravi, come dagli stemmi tuttora sussistenti, la Scuola dei Pittori sacra a S. Luca. I pittori avevano eretto lo stabile coi danari a tal uopo lasciati dal pittore Vincenzo Catena nel 1532. Vedi S. Bartolomeo (Merceria ecc.).

La Mariegola della Scuola di S. Cristoforo all’Orto, che va dal 1377 al 1546, fa testimonianza come il pittore Gentile da Fabriano, confratello di quel pio sodalizio, fosse domiciliato in parrocchia di S. Sofia. Gentile da Fabriano (città nella Marca d’Ancona) fece parecchi lavori in Roma sotto Martino V. Dipinse nel 1417 in Orvieto e nel 1422 e 1425 a Firenze. Venuto poscia a Venezia, lavorò, per commissione del Senato, nella sala del Maggior Consiglio il conflitto navale seguito fra il doge Ziani ed Ottone figlio di Federico imperatore, laonde ottenne annuale provvigione, vestendo la toga ad uso patrizio. Dicesi pure che in Venezia istruisse nella pittura Jacopo Bellini, il quale, in memoria del maestro, pose il nome di Gentile ad un proprio figliuolo, riuscito poscia artista famoso. Finalmente, sentendosi già vecchio, il Fabrianese ritirossi in patria, ove morì.

Curiosa è una determinazione della fraglia del Traghetto di S. Sofia, presa nel 1355, per cui de Nadal se debia far e dar pan benedetto a tuti li fradeli e soror di questa scola.

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