Grimani (Calle) a S. Luca. Girolamo Grimani, padre del doge Marino, fece costruire nel secolo XVI, sopra disegno del Sammicheli, il prossimo grandioso palazzo, che, alcuni anni fa, era sede degli Uffizii Postali, trasportati oggidì in palazzo Giustinian a S. Salvatore. Qui nel 1596 si diede una festa per onorare il Duca e la Duchessa di Mantova coll’intervento di cento gentildonne vestite di bianco fra le più belle della città, et tutte addobbate, come lasciò scritto il Sansovino, di quantità di ori e di gioie così grande che nulla più non ostante la prohibitione delle leggi, che concessero loro per quella fiata il poter comparire così ornate.
Qui successe la solenne incoronazione di Morosina Morosini moglie del doge Marino Grimani. Approdarono perciò a queste rive il 4 maggio 1597, sulle ore diciotto, il bucintoro e le peate ducali coi Consiglieri, con altri nobili di Pregadi, e col Cancellier Grande, i quali tutti, al suono di trombe, ed al tuonare delle artiglierie, ascesero le scale, e pervennero in sala. Allora il Cavaliere del Doge andò per la principessa, che venne tosto incontro alla comitiva, e poscia giurò quanto nella Commissione Ducale, donando una borsa d’oro a ciascuno dei Consiglieri ed al Cancellier Grande, ove contenevasi un’aurea medaglia colla sua effigie e le parole: Maurocena Maurocena da un lato, e coll’iscrizione: Munus Maurocenae Grimanae Ducissae Venetiar. 1597, dall’altra. Dopo tale cerimonia, la dogaressa montò in bucintoro accompagnata da una folla di barche, e dai brigantini dell’Arti magnificamente addobbati. Discese poscia alla Piazzetta di S. Marco, nella quale, per cura dei beccai, era stato eretto un grand’arco, e fece con tutto il suo seguito il giro d’ambe le piazze sotto un porticato di tende. Aprivano il corteggio trecento bombardieri, a cui tenevano dietro le Arti coi loro gonfaloni; quindi i suonatori di pifferi e di trombe; quindi una schiera di gentildonne giovani, a due a due, vestite di seta bianca, e seguite da altre gentildonne più vecchie, vestite di verde, pavonazzo, e color di rosa secca. Dopo le gentildonne, venivano quattro procuratesse, e la moglie del Cancellier Grande in abito di seta nera. Si vedevano in seguito sette tra figlie e nipoti della dogaressa in vesti bianche ad argento ed oro. Finalmente, preceduta da sei damigelle vestite di verde, e da due bellissimi nani, maschio e femmina, compariva la dogaressa col corno in testa, sotto del quale le scendeva sugli omeri un sottilissimo velo, e con manto bianco, e sottana di soprariccio d’oro. Chiudevano la processione i Consiglieri, i Procuratori, e tutta la Signoria. Così accompagnata, entrò Morosina Morosini nella basilica di S. Marco, e di là al palazzo ducale, passando innanzi a tutte le 19 Arti in bell’ordine disposte. Giunta nella Sala del Maggior Consiglio, e seduta sopra il trono, successe un bellissimo festino, rallegrato da una refezione composta di confetture rappresentanti uomini, donne, barche, ed altri oggetti, la quale, al lume di più che 60 torce, era stata prima condotta in giro per la Piazza di S. Marco. Morosina Morosini, rimasta vedova, chiuse i suoi giorni nel palazzo di S. Luca il 29 gennaio 1614, legando alla basilica di S. Marco la Rosa d’Oro, che le era stata spedita in regalo dal pontefice Clemente VIII.
Nel palazzo medesimo alloggiò nel 1625 Ladislao VII, figlio di Sigismondo III re di Polonia, e nel 1658 furono spesati dal pubblico due ambasciatori spediti dal principe della Moscovia.
Tra le altre strade, che presero il nome dalla famiglia Grimani, non possiamo tacere del Ramo Grimani a S. Maria Formosa, perché conduce ad altro grandioso palazzo, fondato, come vuolsi, da Giovanni Grimani, patriarca d’Aquileja nel 1545, e celebre specialmente per la statua d’Agrippa, che si conservava nell’atrio, qui recata dal Panteon di Roma. E’ curioso l’aneddoto che si racconta intorno a questo colosso. I Grimani negli ultimi tempi della Repubblica avevano deliberato d’alienarlo, allettati da generosa profferta d’oltre Alpe venuta, e più non mancava che spedirlo fuori di Venezia. Già la barca è approntata, già barcajuoli e famigli s’accingono all’opera. Quand’ecco appare nella corte, in vesta d’uffizio, Cristofolo Cristofoli, fante degli Inquisitori di Stato, che dice agli astanti, meravigliati della sua venuta: Son qua da parte della Serenissima per augurarghe bon viazo a Sior Marco Agripa prima che el parta. Riportato ai Grimani l’avvenuto, essi capirono il gergo, e temendo d’incorrere nello sdegno del governo, ed arrossendo forse di essere cagione che le nostre artistiche glorie passassero in mano degli stranieri, comandarono tosto che la statua rimanesse al suo posto, né più diedero corso al contratto. A rimuovere un consimile pericolo pell’avvenire, il conte Michele Grimani, ultimo di questa linea, ingiunse, con testamento 24 aprile 1862, ai propri eredi di offrire la statua medesima in dono al comune di Venezia. Il Grimani morì nel 1864, e la statua venne trasportata al Civico Museo il 29 marzo 1876.
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