Barbaro (Corte, Fondamenta, Ramo, Fondamenta, Calle) a S. Vitale. Il palazzo Barbaro, di stile archiacuto, sembra eretto nel secolo XIV. Ignorasi, giusta il Fontana nelle sue Illustrazioni alla Venezia Monumentale e Pittoresca, e ne’ suoi Cento Palazzi ecc., a chi da principio appartenesse, sapendosi soltanto che Pietro Spiera, uno de’ suoi antichi proprietarii, asserì nel suo testamento fatto il 17 settembre 1414, d’averlo egli pure comperato. In seguito l’ebbe un Pietro Franco, droghiere a S. Provolo; indi, sotto il doge Foscari, un Nicolò Aldioni, e fu da Lucia Coppo, vedova di quest’ultimo, che acquistollo Zaccaria Barbaro, cavaliere e procuratore di S. Marco, dalla famiglia del quale venne in epoca posteriore restaurato. V’abitarono nel 1499 l’ambasciatore di Francia, nel 1514 l’ambasciatore ungherese, e nel 1524 la vedova del marchese di Mantova, sorella del duca di Ferrara. I Barbaro possedevano pure un altro prossimo palazzo, fondato, dal 1694 al 1698, sul disegno dell’architetto Antonio Gaspari.
Questa famiglia, che impose il nome a più vie della nostra città, passò da Roma nell’Istria, quindi a Trieste, e finalmente a Venezia nell’868. Fu così chiamata per un Marco che, essendo provveditore dell’armata condotta nel 1121 dal doge Domenico Michiel in aiuto di Terra Santa, ritolse ai barbari il vessillo di S. Marco. Il valore di lui emulossi dai discendenti, e specialmente da Donato, vincitore nel 1259 del Paleologo, e da Antonio, che fu nel 1655 e 1656 Capitano in Golfo, nel 1667 Provveditore Generale in Candia, e nel 1670 Provveditore Generale in Dalmazia. Egli morì nel 1679, lasciando un legato di 30 mila ducati pell’erezione del prospetto della chiesa di S. Maria Zobenigo. I Barbaro si resero chiari anche per altri meriti, potendo vantare un Giosafat viaggiatore distinto, un Ermolao nominato nel 1491 da papa Innocenzo VIII patriarca d’Aquileja, noto pe’ suoi lavori sopra Dioscoride, Aristotile e Plinio, e pelle importanti negoziazioni di cui fu incaricato presso Federico III e Massimiliano imperatori; per un Daniele, eletto nel 1557 coadjutore del patriarca d’Aquileja Giovanni Grimani, e traduttore di Vitruvio; finalmente per un Marco autore delle Genealogie Patrizie, e d’altre opere inedite di veneziano argomento.
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