Angelo

Angelo (Calle del Ponte, Ramo Calle del Ponte, Calle e Ponte, Ponte, Fondamenta, Calle al Ponte dell’). Sul prospetto d’una prossima casa, che, malgrado le riduzioni, palesa l’originario stile archiacuto, scorgesi una specie d’altarino di marmo, il quale nella parte superiore ha un dipinto rappresentante la Vergine col Bambino fra due angeli, e nell’inferiore altro angelo sculto in basso rilievo, ritto, coll’ali aperte, in atto di benedire colla destra un globo, decorato dalla croce, da lui tenuto colla sinistra. La figura di quest’angelo, dalla cintura in giù, rimane coperta da due scudi gentilizi attraversati da una sbarra, stemma ripetuto sul pozzo della corte interna, che noi, nella seconda edizione delle Curiosità Veneziane, abbiamo detto appartenere alla patrizia famiglia Nani. Il Cicogna al contrario nel suo codice 3255, ora depositato nel Civico Museo, vi trova lo stemma dei Soranzo. La cosa potrebbe lasciare qualche dubbiezza poiché, espressi sul marmo, gli stemmi dei Nani e dei Soranzo appaiono consimili, e soltanto, espressi a colori, differenziano fra loro in questo, che lo scudo dei Nani è trinciato d’oro e vermiglio, mentre quello dei Soranzo è trinciato d’oro ed azzurro. La seguente scoperta però, fatta dal Cicogna, dimostra a chiare note ch’egli ebbe pienissima ragione nel suo asserto. Presso la riva del palazzo detto dell’Angelo lesse innestata nel muro un avanzo di sepolcrale iscrizione romana che è riportata nella Raccolta d’Iscrizioni Antiche del celebre frate Giocondo da Verona colla nota: Venet. in Rivulo S. Marci, in Ripa D. Lucae Sorantio. Dei Soranzo era adunque lo stabile, e siccome fra’ Giocondo dedicò la sua Raccolta a Lorenzo de’ Medici, morto nel 1492, si vede aversi ciò verificato nel secolo XV, il quale fatto si conferma dai genealogisti colla notizia che Luca Soranzo, figlio di Cristoforo q. Gabriele, fu approvato pel Maggior Consiglio nel 1419, e che nel 1432 ammogliossi con Elisabetta Dandolo da S. Benedetto. Inoltre sotto l’immagine del pozzo dello stabile medesimo, disegnata dal Grevembroch (ms. al Civico Museo) si legge: Pozzo angelicamente simboleggiato al Ponte dell’Angelo, era dei Soranzo e poi dei Barbarighi.

Tornando poi all’iscrizione romana sovraccennata, la quale è quasi tutta corrotta dal tempo, essa suona così:

D. M.
T. Mestrius
T. L. Logismus
V. F. Sibi Et
Mestriae
Spiratae
Coniu.

Il prof. Pietro Pasini giudicolla, dal cognome greco Logismus, appartenente all’epoca dell’imperatore Domiziano, e riputò che questo Mestrius Logismus fosse uno schiavo emancipato per le sue buone qualità da qualche personaggio della famiglia Mestria, celebre nella Venezia terrestre, donde forse acquistò il nome la terra di Mestre.

Curiosa è poi la storiella che dicesi aver dato origine alla scultura dell’angelo posta sulla facciata del palazzo. Noi la trarremo dagli Annali dei Cappuccini del padre Boverio, servendoci in parte delle medesime di lui parole. Racconta adunque il buon frate che nella casa predetta abitava l’anno 1552 un avvocato della Curia Ducale, il quale, con tutto che fosse devoto della B. V., aveva accresciuto l’entrata con disonesti guadagni. Invitò questi un giorno a desinare il padre Matteo da Bascio, primo generale dei Cappuccini, ed uomo di santissima vita, e gli raccontò, prima di sedersi a mensa, d’avere in casa una scimia brava ed esperta in modo che lo serviva in tutte le sue domestiche faccende. Conobbe subito il padre, per grazia divina, che sotto quelle spoglie celavasi un demonio, e, fattasi venire innanzi la scimia, la quale stava appiattata sotto un letto, le disse Io ti comando da parte di Dio di spiegarci chi tu sia, e per qual cagione entrasti in questa casa. Io sono il demonio né per altro fine qui mi sono condotto che per trar meco l’anima di questo avvocato, la quale per molti titoli mi si deve. E perché dunque, essendone tu tanto famelico, non l’hai ancora ucciso, e portato teco all’inferno? Soltanto perché, prima d’andare a letto, si è sempre raccomandato a Dio ed alla Vergine; che se una sola volta tralasciava l’orazione consueta, io, senza indugio, lo trasportava fra gli eterni tormenti. Il padre Matteo, ciò udito, s’affrettò a comandare al nemico di Dio di uscir tosto da quella casa. Ed opponendogli questi che gli era stato dato dall’alto il permesso di non partir di colà senza far qualche danno. Ebbene, gli disse il padre, farai qualche danno sì, ma quel solo che ti prescriverò io, e non più! Forerai partendo questo muro, e il buco servirà a testimonio dell’accaduto. Il diavolo obbedì, ed il padre, messosi a desinare coll’avvocato, lo riprese della sua vita passata, e nel fine dell’ammonizione, prendendo in mano un capo della tovaglia, e torcendolo, ne fece uscire miracolosamente sangue in gran copia, dicendogli, essere quello il sangue dei poveri da lui succhiato con tante ingiuste estorsioni. Pianse il dottore i proprii trascorsi, e ringraziò caldamente il cappuccino della grazia ottenuta, manifestandogli però il proprio timore per quel buco lasciato dal diavolo, e chiamandosi poco sicuro finchè restasse libero il varco a sì fiero avversario. Ma fra’ Matteo lo rassicurò, e gli ingiunse di far porre in quel buco l’immagine d’un angelo, imperciocché alla vista degli angeli santi fuggirebbero gli angeli cattivi. Fu questo successo così pubblico, conchiude il Boverio, che un ponte, vicino alla casa ove scorgesi la scultura dell’Angelo, chiamasi oggidì Ponte dell’Angelo.

Checchè ne sia di tale storiella, ripetuta nel Segneri (Cristiano Istruito) e nel Cod. 481, Classe VII, della Marciana col titolo: Casi Memorabili Veneziani raccolti dal gentiluomo Pietro Gradenigo da S. Giustina, con poco criterio essa viene attribuita all’anno di grazia 1552, mentre, oltrechè il dipinto e la scultura dell’altarino sembrano più antichi, appare da una legge del 1502 che fino d’allora il Ponte dell’Angelo, quantunque non ancora eretto in pietra, portava questa denominazione.

La casa dell’Angelo è celebre altresì pegli affreschi del Tintoretto, dei quali però non rimane che qualche languida traccia. Narrasi che avendo gli emuli del sommo pittore vociferato, ch’egli avrebbe dovuto mettere mani e piedi per condurre a termine l’impresa, quel bizzarrissimo ingegno dipinse bensì nelle facce esteriori degli appartamenti molti gruppi e figure di battaglie, ma nel cornicione volle figurare una quantità di mani e piedi che sostengono, afferrano, premono, e spingono, burlandosi in tal guisa piacevolmente dell’astio degli invidiosi (1).

Note di Lino Moretti

  1. Quattro figure allegoriche, che si trovavano sotto il cornicione, sono state staccate nel 1957 e si conservano nell’interno di Ca’ Soranzo in casa Coiazzi. Del fregio con mani e piedi non rimane più traccia.

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