Foscari

Foscari (Calle, Ponte, Rio, Calle) a San Barnaba. Regale invero è il palazzo che qui sorge, fatto fabbricare dai Giustinian alla fine del secolo XIV, oppure al principio del XV. Esso chiamavasi volgarmente il palazzo delle due torri, per le due torri che aveva sul comignolo. Venne comperato dalla Repubblica nel 1420 per 6500 ducati affine di farne un regalo al Marchese di Mantova, ma nel 1438 gli fu tolto, e nel 1439 donato al conte Francesco Sforza, al quale del pari nel 1447 venne confiscato. Quindi, posto all’incanto, passò in proprietà nel 1452 del doge Foscari, che lo rifabbricò in più magnifica maniera, trasportandolo, come dice il genealogista Girolamo Priuli, dal loco ove hora è la corte al canton del rio, sopra Canal Grande, che va a San Pantalon, ove hora si vede, lasciando il cortile di dietro, ove prima era essa casa. Disceso il Foscari da antica famiglia, venuta dalla villa di Zelarino, presso Mestre, nel secolo IX, e chiara per uomini cospicui, resse per trentaquattro anni gloriosamente lo stato, stendendone i confini da una parte fino all’Adda, e dall’altra fino all’Isonzo. Ma sul tramonto della vita ebbe a sofferire molte immeritate traversie, poiché dovette vedere l’unico suo figlio Jacopo due volte posto a confine, torturato, e costretto a morire lungi dalla patria. E poiché a tanto colpo mal reggeva l’animo del vecchio, né più attendeva colla solita alacrità ai pubblici affari, egli venne, in età di anni 84, deposto per decreto del Consiglio dei X. Il 22 ottobre 1457, alla presenza della Signoria e dei Capi dell’anzidetto Consiglio, gli fu tratto di dito l’anello ducale e spezzato; quindi gli fu tolto il corno col camauro sottoposto. La cronaca contemporanea del Dolfin (Classe VII, Codice 794 della Marciana) ci conservò le parole pronunziate dall’infelice in quei supremi momenti. Vedendo Jacopo Memmo, Capo di Quaranta, che in sul partire compassionevolmente guardavalo Di chi estu fio? gli disse. E sentendosi rispondere: di Marin Memmo soggiunse L’è mio caro compagno; dilli da mia parte che averò caro ch’el ne vegna a visitar, acciò el vegna con mi in barca a solazzo; anderemo a visitar i monasteri. Il giorno seguente, nell’abbandonare la ducal residenza, volle discendere pella scala principale, non curando l’avvertimento del fratello Marco che gli disse: Serenissimo l’è bono che andemo a montar in barca per l’altra scala de soto a coverto e rispondendogli Io vogio andar zoso (giù) per quella scala per la quale ascesi in dogado. Poscia, ritiratosi nel suo palazzo di S. Barnaba vi morì oppresso da vecchiezza ed affanno, il primo novembre dello stesso anno 1457, non però, come finsero i romanzieri, all’udire le campane di S. Marco, annunzianti la nomina del di lui successore Pasquale Malipiero, essendo questi entrato in carica fino dal penultimo ottobre, alle due ore di notte. Nella stanza in cui cessò di vivere Francesco Foscari s’albergò nel 1699 Maria Casimira regina di Polonia, mentre in un’altra di fronte aveva abitato nel 1574 Enrico III, insieme ad Eleonora di Francia, quando, lasciato il trono di Polonia, passava pell’Italia onde cingersi il diadema di Carlo IX. Il palazzo Foscari, in cui albergarono molti altri principi, perduto ai nostri tempi dai suoi nobili proprietarii, e ridotto a misera condizione, fu acquistato e ristaurato dal nostro Municipio per uso di pubbliche scuole.

Il Sanudo ha una bella descrizione delle feste che si fecero nel 1513 in questo palazzo per le nozze di Federico Foscari con una figlia di Giovanni Venier.

Nel 1747, secondo il Codice Cicogna 3255, si celebrò una caccia di tori, con palchi e scalinate all’intorno, nella corte del palazzo medesimo.

Esso il 26 gennaio 1750 M. V. andò soggetto ad incendio. Una delle Calli Foscari è detta anche del Pignater. Vedi Pignater (Calle del).

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