Carmine

Carmine (Campo, Rio del). Poca credenza merita chi dice essere stati tradotti a Venezia i Carmelitani dalla Tracia nel 1125 da Giovanni Zancarolo. E’ più probabile che vi ponessero piede nel secolo XIII, nel qual tempo eressero in questa situazione un monastero ed una chiesa dedicati a S. Maria Assunta, detti poscia comunemente di S. Maria del Carmine. La chiesa ebbe consacrazione nel 1348 da Marco Morello, vescovo Democedense, con l’intervento di altri sei vescovi. Più d’una volta in seguito fu ristaurata, e specialmente nel secolo XVII. Nel secolo trascorso si rialzò anche il monastero, ma nel 1810 venne soppresso. La chiesa allora divenne parrocchiale, componendosi il suo circondario con tutte le contrade della parrocchia soppressa di S. Barnaba, con massima parte di quelle della pure soppressa parrocchia di S. Margarita, e con alcune delle due conservate parrocchie di S. Pantaleone, e dell’Angelo Raffaele.

Essendosi il campanile di S. Maria del Carmine, col girare dei secoli, alcun poco inclinato, l’architetto Giuseppe Sardi lo ristabilì in giusta linea nel 1688, e di ciò, come di opera prodigiosa, si volle serbare memoria, mediante pomposa epigrafe, posta nel campanile medesimo.

Esso nel 21 settembre 1756 fu colto di sera da una saetta, la quale apportò danno non mediocre alla cupola ed alle colonne, che con fracasso rotolarono giù dalle scale. I frati, che in quel momento stavano suonando le campane, credettero che tutto il campanile dovesse precipitar loro sulla testa, per cui si diedero atterriti a fuggire, spingendosi l’uno coll’altro. In quel trambusto frate Belisario laico diede del capo nel muro, oppure in una trave, e per la ferita in breve morì (Cod. Cicogna 264).

Al lato destro del Campo del Carmine esiste una casa che credesi avanzo d’un antico palazzo già posseduto dalla famiglia Moro, e che è conosciuta sotto il nome di casa dell’Otello. Imperciocché si suppone che Otello non sia altro che un Cristoforo Moro, figlio di Lorenzo, Veneto patrizio, e che Giraldi Cintio ne’ suoi Ecatommiti (1565), e Shakespeare nella sua tragedia (1604), per un riguardo alla nostra aristocrazia, facessero figurare qual protagonista nelle loro finzioni un moro di colore, piuttostoché un Moro di cognome. Tale congettura esposta dall’erudito sig. Rawdon Brown (Ragguagli sulla Vita e sulle Opere di Marin Sanuto ecc.), e seguita da altri, derivò dal leggersi che esso Cristoforo Moro venne spedito nel 1505 luogotenente in Cipro, e che nel 1508, eletto capitano di 14 galere in Candia, ritornò a Venezia per riferire sulle cose di Cipro, avendo perduto nel viaggio la consorte. Aggiungasi che nel 1515 egli si rimaritò con una figlia di Donato da Lezze, soprannominata Demonio Bianco, donde forse Desdemona. Checché sia di tutto questo, devesi dichiarare che il palazzo in Campo del Carmine non appartenne giammai ai Moro, ma bensì ai Guoro, i quali lo ebbero dai Civran, come appare dallo stemma Civran tenuto dalla figura d’un guerriero, scultura del secolo XV, che sta sull’angolo risguardante il Rivo. Inoltre, il diligentissimo Cicogna lesse un’iscrizione nell’interno di quella casa, da cui si ricava che essa venne incominciata a rifabbricarsi nel 1502 da un Pietro Guoro nell’anno secondo del consiglierato di Luca Civran, suo zio materno, ed ottenne compimento nel 1507. Si ponga mente, per ultimo, che Cristoforo Moro era della famiglia domiciliata in Campo di S. Giovanni Decollato. Si può adunque sospettare che volgarmente si venisse a confondere il cognome Guoro, o Goro, con Moro, e che, anche avuto riguardo alla figura del guerriero, posta sull’angolo del Rivo, si affibbiasse alla casa di cui parlammo una rinomanza che essa punto non meritava.

Del palazzo Guoro toccano i Diari del Sanudo colle parole: 22 Marzo 1519. Et preseno di retenir il R. D. Zuan Lando arzivescovo di Candia, incolpato di monede false, il qual sta ai Carmini in cha Zivran al Ponte di Guori, et cusì in questa sera, over note, dicto arzivescovo fo preso, et posto in caxa di Bernardin di Maschio capitano di le prexon. Si vede che allora chiamavasi Ponte dei Guori quello che ora diciamo Ponte Foscarini. Il fatto dell’arcivescovo si ritrova pure nei Diarii di Marcantonio Michiel (Codice Cicogna 1022). Quantunque corresse fama che gli si fosse ritrovata in casa una botte di monete false, non si diede luogo in Venezia ad ulteriore procedimento contro il medesimo perché el cons. di X volse licenza dal Papa per spazzarlo, et parse che el Papa ghe la concedesse, come fu divulgato, et poi alla fine, ad istantia del cardinal Cornaro suo cugino, revocò la licenza, et volse che li fusse mandato a Roma.

In Ca’ Guoro esisteva pure un teatro che incominciossi ad aprire nel 1729, e che, secondo il Gallicciolli, durò tre anni soltanto. Altri però vogliono che ne abbia durato sei, tre dei quali destinati alle commedie, e tre ai melodrammi.

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