Tagliapietra

Tagliapietra (Campiello del) ai SS. Ermagora e Fortunato. Le officine degli scalpellini (tagliapietre) diedero il nome a moltissimi sentieri della città. Questa ai SS. Ermagora e Fortunato esiste tuttora. Anticamente gli scalpellini erano accomunati cogli scultori, e soltanto, come nota il Temanza, nel 1723, oppure, come racconta il Sagredo, nel 1727, si divisero. Dicesi essere ciò avvenuto per opera dello scultore Antonio Corradini. Gli scalpellini avevano per protettori i quattro Santi Coronati, e si radunavano prima a S. Giovanni Ev., donde nel 1515 passarono a Sant’Apollinare, ove, specialmente per le cure di Pietro Lombardo loro gastaldo, comperarono un fondo presso la chiesa, dalla parte del campanile, per erigersi un albergo, sul piano superiore del quale scorgonsi scolpiti tuttora i quattro Santi Coronati coll’iscrizione: MDCLII Scola di Tagiapiera. Quattro gradi si conoscevano in quest’arte: garzoni, lavoranti, maestri, e padroni dell’officina, detti perciò paroni de corte, perché le officine degli scalpellini, ove tengono le pietre e si lavora di grosso, sono nei cortili ad aria aperta. La prova per essere maestri consisteva nello scolpire una base attica che doveva disegnarsi, e compirsi senza sagoma, e traendola dal disegno. Poi il lavoro veniva misurato con un modulo di rame. Gli scalpellini, per disciplina ed economia, dipendevano dai Giustizieri Vecchi, e dai Provveditori della Giustizia Vecchia, e per le gravezze e pei livelli dal Collegio della Milizia da Mar.

Non lungi dal Campiello del Tagliapietra ai SS. Ermagora e Fortunato arse il dì 28 novembre 1789 un memorabile incendio, di cui nel giornale veneto Il Nuovo Postiglione, o Novelle del Mondo, troviamo i cenni seguenti: Accesosi fortuitamente in uno dei magazzini da olio, trascorse come torrente pel vicino canale; distrusse d’un lato le case adiacenti lungo il campiello, le Colombine, ed il Volto Santo, e dall’altro tutto lo spazio tra il canale stesso ed il Campiello dell’Anconetta. Le case perdute furono circa 60, abitate da 140 desolate famiglie, tra le quali 50 composte da circa 400 indigenti. Aggiunge il Gradenigo ne’ suoi Notatori che i predetti magazzini appartenevano alla ditta Giovanni Heilzelmann, che erano pieni di 240 mila libre d’olio, e che l’incendio ebbe origine dal fuoco ivi tenuto per disgelare l’olio, o dalla dimenticanza di spegnere la lucerna pendente dal soffitto. Narra poi Il Nuovo Postiglione medesimo come il doge soccorresse i danneggiati con 24000 lire, Giulio Corner con 16000, Giulio Contarini con 5000, e la Società del Nobile Casino di San Samuele con 4400.

Aprironsi inoltre offerte volontarie nelle chiese dei SS. Ermagora e Fortunato, S. Paolo, S. Giovanni in Bragora, e San Giuliano. Né tacciono i Giornali dell’epoca come, in seguito, alcuni buoni temponi, o male intenzionati, s’aggirassero di notte quasi fantasmi per le macerie delle fabbriche incendiate, spaventando i passanti.

Per tal incendio rammemorato sulla facciata delle case appartenenti alla confraternita del Volto Santo al Ponte dell’Anconetta, vedi anche l’opuscolo pubblicato in Venezia col titolo: Stanze sull’incendio avvenuto in Venezia il dì 28 novembre 1789 colla veduta delle rovine, in 8°, nonché il Codice Cicogna 2986.

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