Zen

Zen (Fondamenta) ai Gesuiti. Il palazzo Zen ai Gesuiti sorse nel secolo XVI sull’area forse d’una fabbrica più antica, appartenente alla famiglia medesima. Esso è diviso in tre parti, e ne fu architetto il patrizio Francesco Zen, morto nel 1538. Pietro, padre di Francesco, che fu, sebben per poco, superstite al figlio, e che morì il 25 giugno 1539, così disse nel suo testamento: Quanto veramente alle mie case che fabrico alli Crosechieri, voglio che le sieno compide al disegno fece il q. m. Francesco; sopra la fazza delle partition dentro et ornamenti faccia miei figli come li piase, e li laudo far l’opinion de m. Bastianello. Questi probabilmente è l’architetto Sebastiano Serlio, amico della famiglia. Ignorasi precisamente quando il palazzo Zen avesse il suo compimento, ma egli è certo che l’undici marzo 1553, in cui se ne fecero le divisioni, la parte verso ponente trovavasi tuttora imperfetta. Sopra i muri esterni del suddetto palazzo scorgevansi alcuni affreschi del Tintoretto e dello Schiavone, i quali, meno qualche languida traccia, sono del tutto cancellati.

Dei dipinti che qui operò lo Schiavone, così parla il Boschini nella sua Carta del Navegar Pittoresco:

Sul palazzo del nobile Signor,
Che ogni perfetta laude ghe convien,
Mio singular patron, Vicenzo Zen,
Homo nobile e nobile pitor;

Su la fazzada voi mo' dir se vede
Maniera tal che ha forza cusì granda
De quel Schiaon che a tuti da una banda
Convien restar, e ognun statue le crede.

O Dio! se qua no fusse per parer
Che de le statue volesse dir mal,
Diria che ste figure assae più val
De le statue che è a Roma in Belveder.

Il Capellari, appoggiato all’autorità d’alcuni scrittori alquanto invero sospetti, fa che la patrizia famiglia Zeno discenda dalla gente Fania di Roma, che produsse i due imperatori d’Oriente Zenone e Leone II. Giusta l’autore citato, un ramo di questa famiglia trasferissi a Padova, quindi a Burano, ove esercitò il potere tribunizio e finalmente a Venezia sotto il principato d’Angelo Partecipazio, o Badoaro. Renier Zen, spedito nel 1240 con quarantacinque galere contro i Zaratini ribelli, li ridusse ad obbedienza, e poscia riportò vittoria contro i Genovesi, cui ritornò a debellare dopoché nel 1252 venne assunto al soglio ducale. Egli morì nel 1268, e ritrovò in Andrea e Marco, suoi fratelli, due emuli del suo valore contro i nemici del nome Veneziano. Pietro Zeno, cognominato Dragone, fu eletto nel 1334 generale di cento galere contro i Turchi; nel 1337 pugnò contro gli Scaligeri; e nel 1344 conquistò Smirne. Senonché, mentre stava assistendo al divino sacrificio, celebrato dal legato del pontefice in ringraziamento della vittoria, cadde sotto i colpi degli infedeli che avevano ricuperato la piazza. Gloria ancor più grande acquistossi Carlo di lui figlio, la vita del quale ci venne descritta da Jacopo Zeno vescovo di Feltre. Se crediamo a questo biografo, Carlo andò nell’infanzia alla corte del papa, da cui ebbe in prebenda un canonicato della città di Patrasso. Quindi andò a Padova per frequentare l’Università, nel qual frattempo incontrò per via alcuni ribaldi, che lo lasciarono quasi morto, e dissipò nel giuoco quanto possedeva. Allora si diede all’armi per anni cinque finché ritornò a Venezia, e tosto dopo, per esortazione dei parenti, alla sua prebenda di Patrasso. Essendo questa città combattuta dai Turchi, lo Zeno nuovamente impugnò l’acciaro, ma ferito in uno scontro, e creduto morto, stava già per essere sepolto, quando diede segni di vita, ed in breve ripigliò le forze perdute. Ingraziatosi quindi Pietro Lusignano re di Cipro, venne adoperato in varii affari. In seguito, andò a Carlo imperatore, viaggiò in Alemagna, Francia ed Inghilterra, e finalmente si restituì a Patrasso. Perduto in pena d’un duello il proprio benefizio, e rinunziato a qualunque vincolo ecclesiastico, sposò una ricca donna di Chiarenza, rimasto vedovo della quale, passò in Venezia a seconde nozze, con una figlia di Marco Giustinian. Ma, dedicatosi al commercio, e partito nel 1370 da Venezia, dimorò per anni sette parte al Tanai, e parte a Costantinopoli, ove, con grande suo rischio, tentò la liberazione dell’imperatore Calojanni, tenuto in carcere dal figlio Andronico. Scoperto, fuggì sopra le galere venete, colle quali pervenuto a Tenedo nel 1377, persuase il comandante a cedere quell’isola ai Veneziani. Si vide, col progresso del tempo, eletto capitano dell’esercito terrestre contro il patriarca d’Aquileja, e nel 1379 fu spedito ad infestare la navigazione ai Genovesi, a cui predò ventitrè navigli. Egli nel 1380 ritornò a tempo per togliere la Repubblica all’imminente rovina quando i Genovesi, presa Chioggia, s’avanzavano verso Venezia. Tanti meriti però non valsero a salvarlo nel 1406 dalla prigionia per lo spazio d’un anno, e dalla perdita d’ogni uffizio, in pena, dicesi, d’aver accettato danaro dai Carraresi. Espiata la condanna, vuolsi che andasse in Palestina, facesse colà la conoscenza di Pietro, figlio del re di Scozia, ne fosse eletto cavaliere, rifiutasse l’offerta di parecchi principi d’assumere il comando delle loro truppe, e finalmente aiutasse nel ritorno Giano re di Cipro contro i Genovesi. Rimpatriato, menò moglie per la terza volta, diedesi alle lettere, e morì nell’8 maggio 1418. Egli ebbe due fratelli Nicolò ed Antonio che, equipaggiata una nave a proprie spese, si spinsero a settentrione dell’oceano Atlantico, e scopersero il Drogeo, ora detto Terra del Labrador, nell’America settentrionale con altre regioni. In onore di essi si pose recentemente una lapide sulla facciata del palazzo Zeno ai Gesuiti. La brevità che ci abbiamo prefisso non ci acconsente di parlare dei molti altri uomini illustri che produsse la famiglia Zeno sì nell’armi, come nella carriera civile ed ecclesiastica, arringo quest’ultimo in cui può vantare parecchi vescovi, ed un G. Battista cardinale, morto nel 1501. La famiglia suddetta dominò per molto tempo l’isola d’Andro nell’Arcipelago, i castelli di Monteverde e di Francavilla, nonché la terra di Montegranaro nella Marca. Diede il suo nome ad altre delle nostre vie, fra cui ad un Campiello e ad un Sottoportico ai Frari, prossimi ad un palazzo archiacuto, respiciente colla facciata il Rio di S. Stin, da essa posseduto, ed abitato tuttora, ove forse, come abbiamo detto, ebbe stanza il famoso Carlo. Vedi S. Stin (Campo). Il Boschini, nelle sue Minere, dopo aver parlato della chiesa di S. Stin, parla ancora di questo palazzo colle parole: E poco distante dalla detta chiesa evvi la casa Zeno dipinta da Paolo Farinato, dove si veggono varie favole maltrattate dal tempo.

Uno degli Zeno, anch’egli per nome Carlo, oltre di aver ucciso Angelo di Franceschi, figlio di Girolamo, secretario del Senato, sparò un’archibugiata nel palazzo dei Frari contro Girolamo Surian, di cui aveva sposato la sorella, perché questi, dopo la di lei fuga dal marito, solito a batterla fieramente senza ragione, aveva dato alla medesima ricetto nella sua propria casa. Perciò Carlo venne decapitato il 29 marzo 1586.

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