San Gregorio

San Gregorio (Campo, Calle, Calle del Traghetto, Ponte). Non consta in qual anno sorgesse la chiesa di S. Gregorio, ma è certo, per testimonianza del Dandolo, che essa esisteva fino dall’897. Ebbe una rifabbrica dopo l’incendio del 1105, e verso il 1140 passò sotto la giurisdizione degli abati Benedettini di S. Ilario. Allorché questa famosa abazia restò distrutta nel 1247 dal tiranno Ezzelino, gli abati coi monaci si ritirarono a Venezia presso l’accennata loro chiesa, e Fridiano, uno di essi, la ristaurò, come si crede, nel 1342, contemporaneamente al monastero. Dopo il 1450, gli abati regolari furono sostituiti dagli abati commendatarii, il primo dei quali, Bartolammeo Paruta, tornò a ristaurare la chiesa di S. Gregorio, che venne uffiziata non più da monaci, ma da un cappellano ed altri sacerdoti, eletti dagli abati, ed aventi la cura spirituale del circondario. Finalmente nel 1775 fu soppresso il titolo abaziale, ed istituito quello di pievano. La chiesa di S. Gregorio fu secolarizzata nel 1808.

In capo al Rio di S. Gregorio solevasi celebrare, come in altri punti di terra e di acqua della città, le così dette Forze d’Ercole dalle due opposte fazioni dei Castellani e dei Nicolotti. Così descrive il Mutinelli nel suo Lessico Veneto questo divertimento: Steso un tavolato sopra alcune botti, se il giuoco era fatto in terra, e sopra due chiatte se veniva fatto in un canale, ciò che era più in uso ed avveniva più spesso, vi si innalzava sopra un edifizio vivente perché composto tutto di uomini. La base in gergo fazionario detta saorna era formata da più individui stretti ed uniti fra loro mediante alcuni regoli sostenuti dalle loro spalle. Sopra questi regoli, e per conseguenza sugli omeri di chi li reggeva, saliva un’altra mano di uomini, quindi una terza, una quarta, ed una quinta, le quali, rinnovando il maneggio dei primi ed alle volte accosciandosi senza regoli (posizione che dicevasi i banchetti) si venivano a formare diversi piani appellati ageri. Ad ogni piano però andava gradatamente a diminuire la massa delle persone, di guisa che l’ultimo, il quale diveniva quasi il comignolo della fabbrica, ed era il sesto, il settimo, o l’ottavo, finiva con un solo fanciullo appellato cimiereto, non mancando colui, in situazione tanto elevata e rischiosa, di fare un caporovescio. Abbenché questo giuoco necessariamente, per legge di gravità, non potesse offrire una forma diversa dalla piramidale, pure, alcun poco variando alle volte in conseguenza delle arrischiate modificazioni che vi si introducevano sempre dai giuocatori affine di soprastare la fazione avversaria, e che stavano soltanto nel maggiore o minor numero degli ageri, dei banchetti, e nella diversità di altri scorci o positure, accadde che ogni giuoco avesse una particolare denominazione. Quindi, come ho veduto in una matricola, che aveva appartenuto ad una delle due fazioni, vi erano, a modo d’esempio, i giuochi nominati l’Unione, la Cassa di Maometto, la Bella Venezia, il Colosso di Rodi, la Verginella, la Gloria, la Fama ecc., giungendo poi in questi giuochi l’ardimento a tanto che un uomo eseguiva un caporovescio sopra la testa d’un altro, che era ritto sulle spalle d’un terzo, i cui piedi poggiavano soltanto sopra i ferri d’una gondola.

Le Forze d’Ercole si diedero in Rio di S. Gregorio anche il 31 maggio 1810 per festeggiare l’anniversario della coronazione a re d’Italia di Napoleone I, e del di lui matrimonio con Maria Luigia. Scrive il Cicogna, nei suoi Diarii manoscritti, che i Nicolotti fecero bene il primo giuoco, ma poco bene il secondo, poiché il sottocimiero sporse una spalla, laonde cadde il cimiero prima del compimento. Subentrarono i Castellani, che ebbero da prima fortuna, ma mentre s’apprestavano al secondo giuoco, persone corrotte dai Nicolotti sollevarono rumore, fingendo che loro fossero stati involati i fazzoletti e le tabacchiere. A sedare il tumulto, le guardie sguainarono le daghe, sicché nacque confusione indicibile, alcuni si gettarono nelle barche, che, pel soverchio peso, si capovolsero, altri restarono soffocati dalla folla sulle Fondamente; un individuo, che ammirava lo spettacolo dal tetto d’una casa, protendendo la persona, cadde, e morì di colpo; si ebbero dieci altri morti, con vari feriti, ed andò perduta roba non poca.

In parrocchia di S. Gregorio abitava e morì quel Bartolammeo Bozza, autore di varii mosaici che adornano la basilica di S. Marco. Nei Necrologi Sanitarii: 1594. A dì 17 ottobre. M. Bortolo Boza dallo musaicho, d’anni 74, da febbre mesi 2. S. Gregorio.

A quanto abbiamo detto circa la chiesa di S. Gregorio aggiungeremo che in un pilastro della medesima, entro una cassetta di larice, fu deposta nel 1576 la pelle di Marcantonio Bragadin, l’intrepido difensore di Famagosta, scorticato vivo dai Turchi nel 1571. Vedi Bragadin (Calle). Chi la sottrasse dall’Arsenale di Costantinopoli, ove custodivasi, fu, circa all’anno 1575, uno schiavo di nome Girolamo Polidoro da Verona, il quale, liberato coll’oro dei Bragadin, presentò il 1° dicembre 1587, una supplica per ottenere in premio sedici ducati mensili, ma non potè ottenerne che cinque soltanto, per decreto del Senato 13 febbraio 1587 M. V. La pelle del Bragadin fu il 18 maggio 1596 trasferita in apposita urna nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. Essa, dice una cronaca già dai Bragadin posseduta, era piegata in ampiezza d’un foglio di carta, salda, e palpabile come fosse un pannolino; vi si vedevano i peli del petto ancora attaccati, et alla mano destra, che era scorticata, le dita non compiute di scorticare con l’unghie che sembravano ancora vive ecc. Nel 1762 i frati dei SS. Giovanni e Paolo s’accinsero a visitare l’urna, e la trovarono con un foro nella parte risguardante il muro, donde scorsero una cassetta, la quale, appunto per essere l’urna suddetta col foro al muro, non poteva estrarsi.

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