Briani

Briani (Calle) all’Angelo Raffaele (1). Leggasi Ariani, come negli estimi, dal palazzo fondato dalla famiglia Ariani, la quale nel 1535 notificò una casa da statio sulla Fondamenta di S. Rafael con altre nella callesella. Che questo palazzo appartenesse alla suddetta famiglia, oltre che dal nome antico della prossima via, soltanto modernamente corrotto, è approvato dallo stemma sculto replicatamente sul prospetto, ed eguale in tutto a quello che si scorge sul pozzo in Campo dell’Angelo Raffaele con relativa iscrizione recante il nome di Marco Arian, e l’anno 1349, nonché a quello che sta sopra una tomba degli Ariani nel chiostro dei Carmini. Andò errato quindi il Zanotto tanto nell’opera Venezia e le sue Lagune, attribuendo la fondazione del palazzo medesimo ai Foscari, quanto nella sua Nuovissima Guida di Venezia, attribuendola ai Guoro. Dicono le cronache che il palazzo Arian sorse nel secolo IX, e che la famiglia fondatrice, venuta dall’Istria, o, secondo altri, dalla Capitanata, possedeva nei tempi antichi quasi tutta la contrada dell’Angelo Raffaele, della quale fondò, od almeno rinnovò, anche la chiesa, ove, poco fuori del coro, aveva un altro sepolcro. Essa rifabbricò nella prima metà del secolo XIV il palazzo, ornandolo della attuale facciata, notabile specialmente pel magnifico finestrato centrale. Anticamente era del Consiglio, ma poscia ne rimase esclusa, il che, secondo una cronaca, avvenne per debiti, fraudolenti forse, commessi da un Antonio q. Nicolò, morto nel 1363. Questi è quell’Antonio Ariani, il quale, con testamento 1. luglio 1361 in atti di prete Marco Rana, ordinò che nessuno de’ suoi figli dovesse sposare donne patrizie, e nessuna delle sue figlie uomini patrizi. Con tuttociò Marco, uno de’ figli del medesimo, tentò di riacquistare gli aviti privilegi, facendo col fratello Bon grandi largizioni alla Repubblica nella guerra di Chioggia, e tanto fu il cordoglio di non poter sortire il proprio intento che, abbandonata la moglie, vestì l’abito da frate in Ferrara. Altri inutili tentativi fece allo scopo medesimo nel 1465 questa famiglia, la quale fino alla sua estinzione, avvenuta nel 1650, restò fra i cittadini. In nuovi abbagli incorsero gli scrittori investigando quali fossero i successivi proprietarii del palazzo di cui facciamo parola. Il Zanotto, che, come abbiamo detto, lo fa nella sua Nuovissima Guida, fondato dai Guoro, vorrebbe che nel 1660 vi succedessero, come proprietarii, i Minotto, e che dei medesimi sia lo stemma sculto sul prospetto. A ciò si risponde che, quantunque lo stemma dei Minotto, guardato sul marmo e senza colori, possa confondersi collo stemma degli Ariani, quello che scorgesi sulla facciata del palazzo non appare rimesso, ma contemporaneo alla fabbrica, cioè del secolo XIV. Resterebbe che i Minotto, senza essere gli autori dello stemma, subentrassero tuttavia nella proprietà dell’edificio, ed anche noi a bella prima eravamo di questa credenza, sapendo che una casa Minotto esisteva sulla Fondamenta dell’Angelo Raffaele. Senonché il ch. dott. Luigi Scoffo ci rese avvisati per iscritto che i Minotto abitavano in altro vicino palazzotto al N. A. 2365. Ci avvisò inoltre che il palazzo Arian nel secolo trascorso veniva posseduto dai Pasqualigo. Ed ecco che noi, ricorsi all’Archivio Notarile, trovammo il testamento di Giacomo Arian q. Marco, ultimo della famiglia, testamento che ci fu il filo di Arianna per uscire dal laberinto. Giacomo Arian con questo testamento, fatto l’8 novembre 1630, e presentato il 2 luglio 1631 al notajo Bernardo Malcavazza, dopo aver ordinato di venir sepolto nella sua arca, che ha sopra l’arma Arian, in convento dei Carmini, e disposto d’alcuni legati, lascia usufruttuaria di tutti i suoi averi la propria madre, la quale era della famiglia Pasqualigo, e quindi erede il N. U. Vincenzo Pasqualigo q. Pietro. Poscia v’aggiunse due codicilli, in atti Andrea Calzavara, l’uno colla data del 16 agosto 1643, e l’altro colla data del 30 novembre 1647, con cui, riferendosi al suo testamento del 1630, fa qualch’altro legato, dichiara d’aver sopra la sua casa grande di S. Raffaele un debito di quattrocento ducati, spesi dal q. ecc. Bernardo Grimani per ristauri, e conferma erede il N. U. Vincenzo Pasqualigo, eleggendo lui e la madre suoi commissarii. Così il testamento, come i due codicilli, vennero pubblicati il 15 novembre 1650, viso cadavere. Da ciò si conosce chiaramente che, senza altri trapassi intermedii, il palazzo all’Angelo Raffaele passò dagli Ariani nei Pasqualigo. Perciò nello estimo del 1661 se lo vede posseduto, ed abitato dal N. U. Vincenzo Pasqualigo; nell’estimo del 1712 posseduto dal N. U. Pietro Paqualigo fu de s. Vincenzo e fratelli, ma appigionato coll’orto al Serenissimo di Guastalla per annui ducati 360; e finalmente nell’estimo del 1740 posseduto dagli stessi Pietro e fratelli Pasqualigo, ma allora da appigionarsi. I Pasqualigo continuarono a possederlo finché Laura Pasqualigo del fu Giorgio, vedova di Vincenzo Gradenigo, con suo testamento esteso il 20 giugno 1768 e presentato il 19 febbraio 1769, al notajo Domenico Zuccoli, lo lasciò ai fratelli rev. Antonio e Carlo Pasinetti q. Francesco. I loro discendenti ne vendettero un piano a Lucia Cicogna, ex monaca Benedettina, che vi tenne per varii anni collegio di educazione femminile. Costei fece dipingere sopra i tavolati del vestibolo l’arma Cicogna, per la qual cosa il Selvatico ed altri chiamarono erroneamente l’edificio palazzo Cicogna. Dopo la Cicogna, decessa nel 1849, la parte a lei spettante passò in varie altre mani, e quindi comperata dal Comune di Venezia, che finì col comperare anche l’altra parte rimasta ai Pasinetti, per uso di pubbliche scuole.

Note di Lino Moretti

  1. Dal 1889: Ariani.

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