Furàtola

Furàtola (Calle, Ponte, Sottoportico della) a S. Apollinare. Chiamavansi, e chiamansi tuttora furatole alcune bottegucce simili a quelle dei pizzicagnoli, ove vendesi pesce fritto ed altri camangiari, ad uso della poveraglia. Deriva il vocabolo furatola o da foro, essendo tali bottegucce altrettanti piccoli fori, o stanzini, a pian terreno; o dal barbarico furabola, che, secondo il Ducange, equivale a tenebrae, essendo le medesime oscure ed annerite dal fumo; o finalmente da furari (rubare) per le frodi, o rubarie, che vi si commettevano, punite in antico con multa, e perdita dell’esercizio. Varie leggi conosconsi relative alle furatole. I Furatoleri non potevano vendere alcun genere riservato ai Luganegheri, né condire i cibi con cacio, onto sotil, ed altro grasso. Chiunque dei medesimi avesse osato di vendere vino, anche al minuto, nella propria bottega, o presa taverna in affitto, non solo perdeva il vino, e pagava 40 ducati di multa, ma bandivasi eziandio da Venezia, e dal Dogado per un anno. Se gl’impiegati tenevano furatola, perdevano il loro posto; i preti poi, se la tenevano in casa, divenivano incapaci d’ogni ecclesiastico beneficio, e se fuori di casa, incorrevano in pena pecuniaria, non pagando la quale, potevano essere incarcerati (Legge 7 aprile 1502 nel Capitolare dei VII Savii).


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